Fausto De Stefani oggi ha 70 anni. È uno dei pochissimi ad aver scalato tutti gli Ottomila. Insomma, sul tetto del mondo ci ha passato più tempo di qualsiasi altro essere umano. Oggi per l'alpinista mantovano e bresciano d'adozione il Nepal non è più vette da conquistare, ma bambini da educare: a pochi chilometri da Kathmandu ha aperto sette scuole. Il Nepal e i nepalesi li conosce bene.
De Stefani, ha letto di Tiziano Ronchi e delle accuse che gli sono state rivolte? Cosa ne pensa?
Non so cosa sia successo di preciso. Quindi non posso giudicare. Ha davvero preso oggetti che non doveva prendere? Li ha solo staccati? Anche il solo staccarli può non andar bene se rivestono una certa importanza per la cultura locale. In generale, penso che serva rispetto quando si va in un Paese che non è il tuo. Molta cautela. In Tibet negli anni hanno portato via di tutto. Il nepalese è un popolo libero, ma su certe cose c'è estrema severità.
Che Paese è il Nepal?
Un Paese meraviglioso, a tutti consiglio di andare. E quando ci vanno non riescono più a dimenticarlo, a starne lontano. Ci tornano... si sposano... Lì le persone guardano le montagne e cantano. Qui chi lo fa più, siamo tutti perennemente arrabbiati. È un Paese che ti fa gioire, ma anche disperare.
Quando ti fa disperare?
Quando la burocrazia si mette di mezzo. Loro ti dicono di sì, sempre di sì, ma per un'autorizzazione aspetti mesi e mesi. E poi spesso finisce che neppure te la danno.
È stato così per le sue scuole?
Per il Museo dell'arte contadina e pastorale sì. Sto aspettando. Ho dovuto aprirlo qui a Castiglione, ma vorrei portarlo là, vicino alle scuole, dove è giusto che stia. È pieno di oggetti frutto dell'incredibile manualità dei nepalesi. Sono cose straordinarie, dove la funzionalità è bellezza. Qui per pescare usiamo lenze in carbonio, lì deve vedere che attrezzi.
E le scuole?
Quelle le autorità non le volevano, ma alla fine le abbiamo fatte nascere. A 7 chilometri da Kathmandu. In un posto che si chiama Kirtipur. Sono intitolate a quattro ragazzi che vennero uccisi davanti al palazzo reale, quando c'era la monarchia.
In che senso non volevano le scuole?
No, non è che non vogliano le scuole. Non vogliono le scuole che funzionano. Con i computer i ragazzini vedono quello che succede nel mondo.
E nelle vostre scuole i computer ci sono.
Sì, ce ne sono 173, oltre a 45 laboratori multimediali, laboratori di chimica e fisica, un teatro. A disposizione di bambini e ragazzi dai 3 ai 18 anni.
Un'impresa almeno quanto la conquista di un ottomila.
Il mio merito è stato quello di convincere altri ad investire. Oggi il 45 per cento dei bambini e dei ragazzi che frequentano la Rarahil Memorial School non paga nulla. Grazie ai molti, anche bresciani, che sostengono l'iniziativa contribuendo economicamente. Gli altri pagano in base al reddito. Distribuiamo 1200 pasti al giorno, chi vive lontano può fermarsi a dormire: in un piano i bambini, in un altro le bambine.
Ha mai vissuto o è stato testimone di episodi come quello in cui è coinvolto Tiziano Ronchi?
Mi è capitato di assistere a qualcosa di simile, a Kathmandu, in aeroporto. Era il 1982 o l'83, e fermarono una persona che era in possesso di un Mani. I Mani sono pietre su cui vengono incise preghiere. Come andò a finire non le so dire, perché io dovetti proseguire. Ma, ripeto, non so cosa sia avvenuto nel caso di Tiziano Ronchi..